La grande assemblea dei “Socialisti in Movimento” che si è svolta a Roma il 12 marzo 2017, con la partecipazione e il confronto delle associazioni, degli iscritti e dei rappresentanti eletti negli organi, nelle strutture regionali e locali dell’attuale PSI, ha posto con urgenza il problema di riflettere sulle forme e le direzioni da seguire per creare un vasto e importante movimento socialista in Italia. Per ripartire finalmente dai problemi gravi ed attuali da risolvere, delle diverse soggettività sociali cui riferirsi e naturalmente da una linea politica efficace da costruire insieme nel partito all’indomani dell’elezione di un nuovo segretario e la creazione di un gruppo dirigente autenticamente socialista.
Organizzare e ramificare una presenza socialista significativa nei differenti comparti del mondo del lavoro, nella società attuale in via di trasformazione e profondamente diversa dal passato è molto difficile oggi. Perché occuparsi dei problemi posti oggi alle amministrazioni locali da una politica nazionale che sceglie di tagliare le spese sociali e soprattutto il bisogno di creare un raccordo efficace tra l’associazionismo socialista sparso sul territorio, le richieste dei cittadini e l’organizzazione del partito, impone a noi tutti di lavorare su un doppio binario: da un lato la creazione di un movimento ampio e rappresentativo, dall’altro la preparazione delle basi della ricostruzione di un partito ormai ridotto al minimo dalle scelte personalistiche dell’attuale segretario.
Partendo perciò da un’affermazione molto giusta di Vittorio Foa, ossia che una storia del socialismo è pensabile solo come storia globale dei problemi della classe operaia, cioè come storia della società e delle lotte[1], credo sia il caso di partire adesso non solo dalla storia dell’organizzazione socialista e delle forme in cui si sono associati i lavoratori nel corso del tempo per capire come queste realtà sono state percepite dal socialismo italiano e vi hanno interagito, ovviamente andando per grosse linee, ma anche di fare chiarezza al nostro interno su cosa fare e dove andare oggi.
Sul primo punto, ossia sulle fasi più interessanti oggi della storia dell’organizzazione socialista in Italia, credo sia necessario tenere bene a mente tre momenti specifici: la seconda metà dell’Ottocento, con la nascita del movimento operaio in Italia, la lotta clandestina degli anni Trenta del Novecento con la sperimentazione di nuove forme di organizzazione ramificate a partire dalle realtà industriali presenti, la nascita dei Nuclei aziendali socialisti negli anni Cinquanta.
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Tre sono secondo me i momenti più importanti della nascita del movimento operaio in Italia: lo sciopero di quattro giorni di centinaia di donne delle filande di seta di Lecco e dintorni del 1869, quanto avviene tra il 1884 ed il 1885 nel Mantovano e nel Polesine ossia la nascita del movimento de “La boje” che chiedeva il mantenimento dei salari a fronte della crisi dei raccolti, quel che accade tra il 1891 ed il 1894, dall’altra parte della Penisola e si manifesta il malcontento dei braccianti agricoli, dei minatori, degli operai e del proletariato urbano della Sicilia che prende forma nel movimento dei Fasci siciliani, disperso dal pesante intervento militare del Governo Crispi. La presa di coscienza di ampi settori del proletariato urbano e rurale di dover lottare per cambiare le dure condizioni di lavoro cui sono sottoposti uomini, donne e bambini, viene registrata dai socialisti impegnati a dare una forma organizzata, ma soprattutto un orizzonte politico alla classe lavoratrice e «Critica sociale», la rivista diretta da Filippo Turati ne è lo specchio più fedele e che nel 1894 si esprimerà così: Noi sosteniamo che la vera lotta dei partiti, la lotta del presente e dell’avvenire, la lotta di lotta di classe, non è questione di cabale e di formule legislative né di modalità giuridiche, ma è questione di forza: e crediamo che nella lotta delle forze la impassibilità ed il coraggio siano un elemento di importanza essenziale, e non tanto per quello che immediatamente producono, quanto per quello che dimostrano. […] Le nuove leggi ci procureranno senza dubbio molestie, che d’altronde ci potevano venire per altra via, sono quelle che vuole il tempo e la lotta nella quale ci siamo impegnati. Non pensammo mai che all’emancipazione del proletariato si arrivasse in carrozza o sopra un letto di rose.
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Se la prima riflessione riguarda gli obiettivi iniziali del socialismo italiano, ossia la centratura dell’orizzonte di lotta sul proletariato in marcia per conquistare i propri diritti essseziali, la seconda riguarda il periodo della difficile riorganizzazione clandestina del partito durante gli anni bui del fascismo. Ho in mente tre momenti essenziali di quegli anni: la creazione del gruppo di Giustizia e Libertà che farà riferimento essenzialmente a Carlo Rosselli e che poi sfocierà nella lotta partigiana e nella costruzione del Partito d’Azione, la Concentrazione antifascista a cui lavorerà oltreconfine senza sosta Pietro Nenni e soprattutto il Centro socialista interno di Rodolfo Morandi operativo soprattutto nel nord industriale tra il 1934 ed il 1939. Dell’elaborazione iniziale di Carlo Rosselli mi preme sottolinare il nesso giustizia-libertà, che spiega molto bene nel suo libro del 1924 “La rivoluzione liberale” in cui afferma: Fino a che il lavoratore non si sarà assicurato una relativa autonomia economica, fino a che sarà forzato a porre al primo piano il suo bisogno economico, vano è sperare la sua adesione alla esistenza collettiva. Un insegnamento che sarebbe molto utile ai politici di oggi che sistematicamente e scientemente stanno ignorando i bisogni più importanti dei lavoratori di oggi. Della Concentrazione antifascista dirò solo che raccolse insieme le energie di tutte le forze e le sigle socialiste che si opponevano al regime portandole ad una sintesi, un argomento molto sentito anche oggi nella diaspora socialista degli ultimi venti anni. Per ciò che riguarda il Centro socialista interno guidato soprattutto da Rodolfo Morandi negli anni Trenta fondamentale è il suo fermo tentativo in condizioni difficilissime di ricostruire il PSI in clandestinità a partire dai nuclei esistenti di partecipazione e dai lavoratori dei comparti operai dislocati sul territorio interessati a ricostruire un tessuto comune socialista.
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Riguardo il terzo punto, ossia la ramificazione del partito ormai strutturato e ricostruito dopo la Liberazione, è ancora l’intervento di Rodolfo Morandi alla Conferenza nazionale di organizzazione del PSI che si tiene a Roma nel novembre del 1950 [1], a porre con chiarezza il nodo di dover strutturare di nuovo il partito come un’organizzazione di massa, in grado di entrare in contatto coi lavoratori industriali del Nord e le masse contadine del Sud, attraverso una presenza capillare dei socialisti nei luoghi di lavoro con i NAS e nel tessuto cittadino con le sezioni e le federazioni. Molto interessante questo passaggio: Stiamo elaborando un materiale di informazione già abbastanza vasto sulla organizzazione a forma capillare e sulla articolazione organizzativa della federazione nell’ambito della provincia. E consideriamo che, venendo confermata dal Congresso nazionale, nelle grandi linee per lo meno, la validità di queste innovazioni, esse non debbano tardare ad avere un inquadramento. Riteniamo che si debba tendere intanto a semplificare, per quanto possibile, le forme di organizzazione capillare, attraverso l’adozione generale del nucleo come stadio organizzativo sottoposto alla sezione. Campo di esperienze più varie resterà, penso, la organizzazione delle zone nell’ambito delle federazioni. […] Molto arretrati siamo ancora rispetto ad un ordinamento regionale della organizzazione di partito. La struttura regionale rappresenta uno degli stadi più avanzati della organizzazione, e certamente tra i più difficili da realizzare. E sul rapporto tra partito e Nuclei Aziendali Socialisti (NAS), vera e propria base operaia dell’organizzazione territoriale del PSI che Morandi vuole costruire, quest’altro passaggio: Campo di osservazione, debbono essere permanentemente il corso che ha una agitazione, una lotta, una campagna di partito o sindacale, il lavoro che si svolge nell’ambito di una sezione, di un NAS, di una lega. Il dirigente di federazione deve pretendere di avere, da parte dei quadri che presiedono ai diversi settori di lavoro, regolare segnalazione del rendimento che viene accertato nella attività dei quadri periferici. [2]
Perché prendo in considerazione solo questi tre momenti? Perché oggi occorre ripartire dalle nostre origini, dal nostro volerci porre l’obiettivo di essere di nuovo il partito d tutti i lavoratori, della massa dei lavoratori che devono tornare a marciare uniti per riprendersi i diritti che in questi ultimi drammatici anni gli sono stati strappati con forza da questo o quel governo di centro-destra o di centro sinistra. Per lavoratori oggi noi socialisti dobbiamo comprendere i tanti troppi lavoratori autonomi sfruttati e vessati di continuo, i ceti medi proletarizzatisi dalle crisi che si sono abbattute sul nostro continente e sul nostro Paese, gli insegnanti sempre troppo precari, i lavoratori del comparto industriale che troppo spesso subisce delocalizzazioni senza regole, i molti giovani e meno giovani dei call center troppo spesso senza un contratto stabile e costretti a sorridere ogni giorno erogando i servizi essenziali privatizzati da troppe manovre di governo sconsiderate, i fattorini impiegati tutto il giorno sulle nostre strade senza mezzi sicuri di sussistenza e senza la certezza di un futuro felice, i nuovi cittadini provenienti da paesi lontani e coloro che faticosamente vorrebbero diventarlo entrambi ora sotto attacco per i quali la vita è una continua salita.
Per tutti loro e per ciascuno di noi il socialismo è l’unico orizzonte praticabile e la ricostruzione di un grande e strutturato soggetto socialista rimane l’unica cosa importante da fare tutti insieme. Non facciamoci sottrarre i nostri sogni un’altra volta da un ceto dirigente impreparato ed egoista. Riprendiamoci il presente. Diamo forza al nostro avvenire, con la coscienza della nostra storia.
Marco Zanier
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[1] Da «I socialisti italiani dopo il fascismo», in Vittorio Foa, «Per una storia del movimento operaio», Giulio Einaudi editore, Torino 1980 (p. 287)
[2] Rodolfo Morandi, “L’organizzazione del partito in funzione dell’azione di massa” in Rodolfo Morandi «Il partito e la classe (1948-1955)», Einaudi, Torino, 1961 (pp. 144-166)