La democrazia e il principio di differenza – John Rawls a confronto con i provvedimenti del Governo Salvini/Di Maio. di Albero Angeli

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Ho già avuto modo di rileggere John Rawls e riassumere in un breve scritto il sistema sociale e politico che costituisce la parte preponderante della sua opera.  Mi è parso quindi opportuno proseguire, poichè  quanto pensato dallo studioso del sociale e filosofo offre la possibilità di un confronto del suo pensiero inerente alla giustizia distributiva con l’esperienza del momento politico del nostro Paese. Secondo Rawls, «il problema principale della giustizia distributiva è la scelta di un sistema sociale» (Teoria della Giustizia Feltrinelli 1982). In questo senso sia il reddito di cittadinanza (RdiC), che il Reddito di inclusione (REI), possono indicarsi nella loro sinonimia funzionale come proposito di una politica sociale, ponendosi l’obiettivo di erogare un sostegno economico (reddito) a favore di quella parte della popolazione che vive il disagio sociale della povertà. E tuttavia, anche questa forma di intervento politico, pur assolvendo ad un compito sociale, mantiene una sua incompletezza sostanziale riguardo alla definizione di una  giustizia distributiva, sulla quale spesso si procede ad elaborazioni teoriche e funzionali sulla distribuzione del reddito e della ricchezza approssimative e politicamente incoerenti, quando non dannose alla tenuta del bilancio pubblico.

Incalzato dalla necessità di mantenere gli impegni assunti e dare risposta al dramma sociale della povertà,  il governo giallo/verde è ricorso all’adozione del provvedimento che introduce il RdiC e quota 100, finanziando i due provvedimenti in deficit, incrementando così il debito del Paese, (a gennaio 2019 il debito pubblico si è attestato a  2.358 miliardi di euro, rispetto ai 2.317 miliardi di fine 2018. L’incremento mensile è stato pari a oltre 41 miliardi),  sottovalutando l’ingiustizia distributiva che tale risposta rappresenta in termini di differenza  del disagio sociale,  poiché non tiene conto della disparità sociale che si determinano all’interno delle stesse classi sociali che si trovano appena al di  sopra del margine della povertà .  Rawls affronta in termini più complessi e  in una visione di corrispondente egualitarismo la giustizia distributiva mediante una indagine che riguarda l’organizzazione delle relazioni produttive tra cittadini, con la quale viene  esaminato il loro rapporto con la proprietà e il controllo che essi esercitano sulle risorse produttive e la distribuzione, non solo del reddito e della ricchezza, ma anche dei poteri e delle responsabilità in ambito economico, sociale e istituzionale.

Per Rawls,  il principio di differenza  che emerge dall’analisi di questi rapporti non è da considerarsi come un dato di natura «allocativa» circoscrivibile nello misura e nello spazio, cioè “micro”, nel senso che si applica direttamente a «situazioni su piccola scala», per ripartire quantità preesistenti di reddito e di ricchezza. Si tratta invece di un principio « che si svolge su scala adeguatamente macro», indispensabile ad  organizzare un sistema economico sul cui modello sia possibile «classificare forme sociali considerate come sistemi in cui è indispensabile garantire il massimo di equità». Il  punto non è semplicemente che il principio di differenza si applica alla «struttura di base della società» per specificare un «processo sociale» attraverso il quale le quote distributive spettanti a ciascuno sono determinate dalla «giustizia procedurale pura». Si tratta di una tesi che molti hanno ritenuto di sinistra, ma ciò nonostante non incontra il sostegno del filosofo Marxista Gerald A. Coehn, il quale ritiene il principio di differenza uno strumento infecondo di risultati, poiché non affronta il tema delle diseguaglianze tipiche del capitalismo, in quanto tale sistema si limita ad essere applicato mediante una procedura  che affida tale compito alle istituzioni, anziché valutare i titoli e la condotta degli individui, favorendo le pratiche dei capitalisti, che pur arresisi alla condizione di sostenere politiche a favore dei meno avvantaggiati, non annullano affatto le vaste disuguaglianze tipiche del capitalismo.

 Secondo Coehn l’applicazione del principio di differenza attraverso le istituzioni esistenti all’interno di una società capitalistica, non implica autorizzare singole misure di cambiamento dello status quo a prescindere da quanta disuguaglianza ne risulti.  Ma sussumere questa interpretazione significa alterare l’idea della giustizia distributiva che per Rawls è la «scelta di un sistema sociale», i cui principi di giustizia impongono innanzitutto un requisito di governance sistematico ed un approccio di programmazione democratica  che sia di orientamento all’economia. Seguendo la sua ricostruzione si evince come  le società devono assumere misure complessive per mettere in piedi un sistema economico che tra tutti i sistemi economici garantisca ai membri meno avvantaggiati la condizione migliore. In questa sottolineatura si coglie il contrasto con l’interpretazione limitativa del principio di differenza di Cohen, che non coglie il significato volto a superare lo status quo in una società capitalistica a sostegno di interventi volti a migliorare la condizione di coloro che vivono nel disagio sociale e economico.

Ora, è appena accettabile in via teorica, che con i due strumenti RdiC e REI si sia inteso porre le basi per soddisfare almeno un requisito volto al miglioramento della condizione dei meno avvantaggiati, immaginando che in termini di sistema questi provvedimenti siano alternativi ad ogni altro intervento effettuato con lo scopo di introdurre forme di equità e giustizia, ma è del tutto evidente che non sono nella condizione di soddisfare il principio di differenza a singole misure, nella maniera immaginata dall’obiezione di Cohen, per produrre miglioramenti marginali della condizione dei meno avvantaggiati, né tanto meno di porsi come alternativa alle diseguaglianze  del sistema capitalistico. E questo nonostante che il REI si avvicini notevolmente alla teoria elaborata da Rawls, in specie per la caratteristica di giustizia redistributiva e la funzione normativa prevista e in grado di coinvolgere i Comuni nella gestione quali enti a più diretto contatto con la società e senza pesare sul debito pubblico. Quindi, sia il REI, che il RdiC, rimangono strumenti insufficienti e non modificativi del capitalismo assistenziale.  Infatti, Rawls sostiene che, applicati correttamente alla scelta di un sistema sociale, i principi di giustizia non giustificano alcuna forma di capitalismo. I due sistemi economici che soddisfano i requisiti di quei principi sono la democrazia proprietaria e il socialismo liberale. Poiché nessuno dei due è capitalistico, ed entrambi limitano le disuguaglianze e estendono ampiamente la proprietà e il controllo del capitale produttivo, gli ambiziosi avventurieri di Wall Street e le altre fonti finanziarie artefici delle disuguaglianze capitalistiche non esisterebbero in quelle società.

Con la riedizione della sua opera del 1982 Rawls mette mano a quella parte della sua analisi sulla giustizia distributiva, ne riformula e rielabora la distinzione tra democrazia proprietaria e capitalismo assistenziale (Welfar e capitalismo). Egli parte da una considerazione in cui la valutazione dei due temi: democrazia proprietari e capitalismo assistenziale, rende possibile rilevare il livello di valore dei caratteri principali dei suoi principi di giustizia.  La sua idea di democrazia proprietaria procede in parallelo alla sua risposta agli argomenti socialisti contro i mercati e il capitalismo. Nella rielaborazione del 1982, risponde alla critica di Marx al liberalismo sostenendo che una  democrazia proprietaria modellata sulla base dei principi di giustizia assicura che «la proprietà dei mezzi di produzione» sia alla portata di tutti i cittadini, fornisce «protezione adeguata alle cosiddette libertà positive», supera in ampia misura gli «aspetti più meschini e degradanti» della divisione del lavoro, assicura a tutti «un’equa opportunità di esercitare un’influenza politica». La sua tesi si spinge fino a riconoscere come la democrazia proprietaria poiché ammette sia imprese gestite dai lavoratori sia «una maggiore democrazia all’interno delle imprese capitalistiche», essa va incontro alle preoccupazioni di Marx per la democrazia nel luogo di lavoro e nell’orientare l’andamento generale dell’economia.

Non stupisce quindi cogliere come la tesi di Rawls, nel differenziare la democrazia proprietaria dal capitalismo assistenziale, pervenga a definire il capitalismo come un tipo particolare di sistema di mercato basato sulla proprietà, ribadendo e accogliendo la tesi di Marx, per risulta  corretto e coerente descrivere il capitalismo come un sistema sociale e politico in cui la proprietà privata e il controllo dei mezzi di produzione sono largamente concentrati nelle mani di una minoranza privilegiata. Dato questo stato di cose egli insiste nel rilevare come ciò determini larghe disuguaglianze, non solo nella distribuzione del reddito, della ricchezza, dei poteri economici e delle posizioni di responsabilità, ma anche nell’esercizio effettivo di poteri politici e prerogative sociali, e nell’accesso alle opportunità sociali ed economiche. Continua, insistendo a seguire la tesi di Marx, questa classe privilegiata esercita una preponderanza di potere politico, e la ricchezza e i poteri sociali ed economici dei capitalisti costituiscono una posizione strategica che consente loro di esercitare un’influenza dominante sull’agenda politica. Tuttavia, per Rawls, il conflitto di classe non deve considerarsi come una caratteristica inevitabile del capitalismo,  anche se ritiene giusto che vi siano conflitti di interesse strutturali, che devono esser promossi e sostenuti a favore dei più avvantaggiati. Il lavoro di Rawls prosegue affrontando le varie declinazioni del potere economico con le quali egli distingue  tra capitalismo liberista (laissez-faire capitalism) e capitalismo assistenziale. Egli considera questi e gli altri sistemi economici che confronta – democrazia proprietaria, socialismo liberale e socialismo di Stato – come «descrizioni istituzionali ideali» cui le società del mondo reale si approssimano

La sua tesi si spinge fino a riconoscere come la democrazia proprietaria poiché ammette sia imprese gestite dai lavoratori sia «una maggiore democrazia all’interno delle imprese capitalistiche», essa va incontro alle preoccupazioni di Marx per la democrazia nel luogo di lavoro e nell’orientare l’andamento generale dell’economia. Non stupisce quindi cogliere come la tesi di Rawls, nel differenziare la democrazia proprietaria dal capitalismo assistenziale, pervenga a definire il capitalismo come un tipo particolare di sistema di mercato basato sulla proprietà, ribadendo e accogliendo la tesi di Marx, per cui gli torna corretto descrivere il capitalismo come un sistema sociale e politico in cui la proprietà privata e il controllo dei mezzi di produzione sono largamente concentrati nelle mani di una minoranza privilegiata. Da questa stato di cose egli insiste nel rilevare come ciò determini larghe disuguaglianze, non solo nella distribuzione del reddito, della ricchezza, dei poteri economici e delle posizioni di responsabilità, ma anche nell’esercizio effettivo di poteri politici e prerogative sociali, e nell’accesso alle opportunità sociali ed economiche. Continua, insistendo a seguire la tesi di Marx, questa classe privilegiata esercita una preponderanza di potere politico, e la ricchezza e i poteri sociali ed economici dei capitalisti li mette nella posizione strategica che consente loro di esercitare un’influenza dominante sull’agenda politica. Tuttavia, per Rawls, il conflitto di classe non deve considerarsi come una caratteristica inevitabile del capitalismo,  anche se ritiene giusto che vi siano conflitti di interesse strutturali, che devono esser promossi e sostenuti a favore dei più avvantaggiati.

Il lavoro di Rawls prosegue affrontando le varie declinazioni del potere economico con le quali egli distingue  tra capitalismo liberista (laissez-faire) e capitalismo assistenziale,  e considera questi e gli altri sistemi economici che confronta – democrazia proprietaria, socialismo liberale e socialismo di Stato – come «descrizioni istituzionali ideali» cui le società del mondo reale si approssimano.

Quanto qui esposto è solo l’incipit dell’esteso studio di John Rawls, di cui ho inteso affrontare solo quella parte interpretativa del concetto di giustizia distributiva, per mettere in risalto la contraddittorietà dei provvedimenti di questo Governo Giallo/verde riguardo alla lotta contro la povertà, un’esca politica con la quale adescare fasce disorientate dalla crisi sociale, porzioni di esclusi e discriminati, periferizzati, allontanati dal sistema democratico. Ma nel vuoto di un disegno di società senza servitori e padroni, in cui il valore del principio di giustizia sociale si affermi concretamente mediante una serrata lotta alle diseguaglianze, la sinistra ha la possibilità di riprendersi il proprio ruolo di rappresentante della parte di popolo esclusa e farsi portatrice di proposte e azioni capaci di dare un senso e una logica al progetto di una società in cui la giustizia distributiva della ricchezza e la democrazia produttiva  sono  la  normalità democratica.

Alberto Angeli


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